Per ricreare legami sociali e di relazione dentro la nostra comunità servono nuove forme di partecipazione dei cittadini alla scelte sulla città. Ma questo da solo non basta. Bisogna trovare anche nuove forme di partecipazione attiva dei cittadini -quelli che noi definiamo ‘cittadini socialmente responsabili’- al soddisfacimento dei bisogni della comunità, in particolare laddove l’Amministrazione pubblica e le associazioni non riescono ad arrivare.

Una forma di servizio civile comunale per i pensionati e per i giovani che non studiano e magari sono in cerca di occupazione (in inglese NEET, Not in Education, Employment or Training; giovano che non studiano, non lavorano e non sono in formazione) possono da una parte aiutare concretamente la nostra comunità, contribuendo a sostenere e rendere più numerose iniziative di socialità che altrimenti con le risorse a disposizione non sarebbe possibile avviare, e, dall’altra, dare un’opportunità a queste due categorie di cittadini di poter essere utili alla comunità e di rimanere inseriti nel tessuto sociale.

Proposte:

Si intende avviare un progetto esteso di Servizio Civile comunale volontario destinato ai pensionati e ai giovani che non studiano e non lavorano.

Per i pensionati, i ‘nonni in servizio’ l’attività non è remunerata ma si potranno valutare forme di detassazione incentivante, inoltre c’è la possibilità di remunerare questo servizio attraverso ‘Buoni’ spendibili presso gli Empori della Solidarietà (a questo riguardo si faccia riferimento alla proposta sulla lotta agli sprechi nel Capitolo Ambiente).

I nonni in servizio potranno poi tenere aperti monumenti ora chiusi e parchi pubblici, potranno fare dopo-scuola o scuole di lingua per i piccoli immigrati. Alla creatività non c’è fine e sarà possibile per il volontario proporre un’area di intervento o un’iniziativa da portare avanti assieme ad altri ‘nonni in servizio’ suoi amici. Ogni anno ci sarà un giorno di festa per i ‘nonni in servizio’ in cui tutta Padova si stringe attorno ai suoi nonni per ringraziarli. In questo modo il dono di tempo alla comunità diventa un valore e allo stesso tempo fonte di identità e gratificazione per i nostri pensionati.

I giovani della nostra città chiedono, giustamente, più spazi di socialità e hanno un entusiasmo e una voglia di partecipare che al momento non trova grande ascolto. Questa voglia di fare è preziosa. Gli spazi di socialità in gran parte già ci sono a Padova, rimane da affrontare il problema della gestione degli stessi.

Per questo un Servizio Civile Comunale volontario di 6 mesi-1 anno per giovani dai 18-25 è una idea praticabile. Si possono retribuire i volontari grazie al reddito generato (negli spazi sociali possono esserci bar, si potranno fare concerti, ci saranno servizi informatici). Inoltre durante le normali ore lavorative si possono affittare gli spazi alle ‘Partite IVA’ (molto spesso gli stessi giovani che poi frequenteranno questi luoghi anche di sera) che hanno bisogno di ‘uffici a ore’ quando si spostano di città in città. Questo spazi possono diventare quindi anche crocevia di creativi, punti di incontro per giovani imprenditori, grafici, musicisti, giornalisti, volontari di ONG, creativi etc... E’ l’effetto benefico, che in altri paesi viene definito ‘cross-fertilisation’, che produce ‘scintille di creatività’. Grazie a questi incontri la partecipazione per alcuni mesi al programma di Servizio Civile comunale può anche diventare l’occasione per il giovane volontario per trovare lavoro o avviare un’attività assieme ad altri coetanei.

Il Servizio Civile comunale lo si può fare praticamente a costo zero ed è un programma che potrebbe dare a Padova un risalto nazionale perché potenzialmente ripetibile da altre città.

Esempi:

Comune di Pavia: http://www.comune.pv.it/site/home/articolo17774.html

I punti di riferimento sono due: rispettare i principi della Convenzione Onu sui diritti dei disabili e mantenere un continuo dialogo con le persone con disabilità, con le famiglie e con le loro rappresentanze.

Oggi non è sufficiente il sostegno soprattutto ai bambini e ragazzi disabili e alle loro famiglie, questo al di là dei bisogni assistenziali necessari. Tramite lo sforzo di coordinamento dell’Amministrazione, la comunità intera deve impegnarsi a non far sentire sole queste realtà permettendo ai disabili una vita dignitosa ed ai loro genitori un aiuto nella gestione quotidiana.

Proposte:

Nessuna risorsa economica sarà sottratta. Anzi sarà incrementata per promuovere il godimento dei diritti di cittadinanza e la partecipazione alla vita della comunità delle persone disabili: il diritto all’educazione e allo studio attraverso

l’assistenza educativa e culturale nelle scuole, il diritto al lavoro attraverso l’applicazione delle leggi nazionali e regionali sull’inserimento e il collocamento lavorativo.

I fondi necessari si trovano a partire dalle misure di bilancio indicate nel Capitolo ‘Partecipazione Governance Bilancio’.

Con maggiori fondi si intende potenziare le reti di sostegno già esistenti e, laddove ci sia la possibilità, crearne di nuove in concerto con le associazioni dei disabili e delle famiglie, anche attraverso operatori qualificati per la gestione delle reti genitoriali.

Particolare attenzione va data ai servizi per i bambini e ragazzi disabili a scuola. Tutti gli studenti disabili per i quali è previsto devono avere l’insegnante di sostegno con l’impegno a garantire agli alunni il massimo delle ore richieste sulla base della certificazione ULSS.

Nel caso in cui alcuni bisogni (ad esempio nel campo della scuola o dell’assistenza socio-sanitaria) siano responsabilità di altri Enti pubblici, il Comune di Padova firmerà delle convenzioni per integrare i fondi a disposizione laddove insufficienti ai bisogni dei cittadini padovani disabili.

Negli ultimi 20 anni anche a Padova, in linea con la stessa tendenza a livello nazionale, c’è stato un progressivo e indiscriminato smantellamento del sistema integrato di welfare locale che ha danneggiato gravemente lo sviluppo del benessere personale, sociale ed economico della popolazione.

I tagli alla spesa sociale penalizzano altresì le fasce più povere e disagiate della popolazione e le persone che si trovano nella difficoltà/impossibilità anche temporanea di soddisfare i bisogni/diritti umani fondamentali (quali alimentazione, casa, istruzione, assistenza e cura), contribuendo alla loro emarginazione ed esclusione sociale anziché sostenere le loro capacità e risorse per l'autonomia e l'esercizio dei diritti/doveri di cittadinanza attiva. La condizione sociale attuale dei nostri cittadini, aggravata dalla crisi economica, non ha più la capacità di sopportare ulteriori tagli. Il terzo settore, inoltre, è storicamente il comparto che meglio ha saputo ‘fare di più con meno’ e per questo va valorizzato e non smantellato.

Proposte:

Cessare i tagli indiscriminati ai bilanci per gli interventi e i servizi sociali integrati.

Rispettare a pieno gli impegni assunti dai piani di zona e dal piano socio-sanitario regionale.

Prevedere nel bilancio di previsione dei servizi sociali e socio sanitari integrati e del Terzo settore risorse adeguate a rispondere ai bisogni/diritti dei soggetti deboli cosi come previsto dai livelli essenziali di assistenza, dalle normative nazionali e regionali e da quanto approvato dal Consiglio Regionale e dalle Conferenze dei sindaci nei documenti di pianificazione locale (piani di zona e PSSR).

Contrastare gli sprechi e l’impiego inadeguato di risorse pubbliche che non siano indirizzate direttamente al benessere delle persone in generale e con particolare attenzione a quelle più vulnerabili.

Dare priorità alle persone con disabilità e ai bambini delle famiglie a basso reddito.

Supportare il ruolo di cura, educazione ed assistenza svolto dalle famiglie. L’amministrazione comunale deve prendere l’iniziativa nei confronti delle categorie produttive per sensibilizzare e concordare misure concrete per favorire la conciliazione tra tempi di vita e tempi di lavoro per famiglie con figli piccoli o con anziani a carico, come un più facile utilizzo del part-time e di orari di lavoro flessibile.

Tra le misure per ‘fare di più con meno’, condividere e rendere trasparenti le risorse per i servizi sociali con particolare attenzione alla trasparenza sulle modalità di distribuzione delle risorse operative e di monitoraggio e valutazione qualitativa e quantitativa dei risultati conseguiti.

In aprile è stata approvata una legge regionale per contrastare la violenza sulle donne (legge regionale 23 Aprile 2013, n.5 Bur n. 37/2013 Interventi regionali per prevenire e contrastare la violenza contro le donne). Tale legge prevede un lavoro di collaborazione tra pubblico e privato sociale, il sostegno dei centri antiviolenza, delle case rifugio e l’istituzione di un tavolo di lavoro.

Per la realizzazione di tali azioni è stato previsto lo stanziamento di euro 400,000 per il 2013 e altri ne seguiranno in futuro. La permanenza delle donne ed eventuali figli è gratuita almeno per i primi 120 giorni.

Nel territorio padovano esistono già molte strutture residenziali (gestite dal privato sociale) che si occupano di donne in difficoltà, donne vittime di tratta e di violenza, il problema è sempre stato che non essendoci una legge e un finanziamento non vi era la possibilità di pagare la retta per l’accoglienza di tali persone.

Devono essere implementate tutte le azioni per prevenire la violenza alle donne e rendere più facile per le donne girare per la città in sicurezza.

Il benessere della comunità, infine, dipende molto dall’aiutare con politiche opportune le donne a conciliare i tempi di vita quotidiani.

Proposte:

Strutturare una rete territoriale di servizi per la presa in carico delle donne vittime di violenza e degli eventuali figli, una rete capace di dare risposte anche sul piano della prevenzione delle violenze e delle misure per la sicurezza. Tale attività deve vedere il coinvolgimento di associazioni sociali del pronto soccorso ospedaliero, carabinieri, polizia, commissariati di pubblica sicurezza, referenti per i consultori, coordinatori area salute delle strutture scolastiche, privato sociale (centro antiviolenza, ma anche le diverse strutture residenziali che da anni si occupano di donne), un rappresentante dei servizi sociali e delle future Case della Salute e del Benessere di quartiere.

Aprire sportelli di ascolto e assistenza in ogni Casa della Salute e del Benessere di quartiere per la prevenzione delle violenze e dello stalking.

Consentire alle donne di muoversi in sicurezza per la città ideando e promuovendo servizi di mobilità innovativi adeguati nelle ore notturne, ad esempio i taxi collettivi.

Rafforzare il centro antiviolenza di Padova e coinvolgere le case rifugio già presenti nel territorio stringendo con queste e con le altre strutture di privato sociale convenzioni e protocolli conformi alle disposizione delle legge regionale.

Istituire momenti di scambio di esperienza tra donne vittima di violenza e le cittadine.

In collaborazione con le scuole superiori, informare le giovani donne sui centri di ascolto a disposizione contro la violenza e ai rischi di violenza legati all’assunzione di droghe e di alcool.

A Padova esistono da quasi 15 anni buone pratiche consolidate di assistenza alle donne vittime di tratta. Con i dovuti adattamenti, quel modello può servire anche per l’assistenza alle donne vittime di violenza.

Oggi Consultori, Centri sociali territoriali, medici di base e servizi scolastici lavorano in maniera scollegata su territori non omogenei tra loro (pur essendo servizi pubblici territoriali), con modalità e competenze che spesso si sovrappongono creando confusione nell'utenza e spreco di risorse nell'attribuzione dei compiti.

Spesso i bisogni per i quali la cittadini si rivolgono a questi servizi necessitano di una presa in carico complessiva e di una maggiore integrazione tra essi. Il cittadino/utente molte volte si sente sperduto e rimpallato tra differenti uffici anche distanti geograficamente, cosa che crea problemi soprattutto alle fasce di popolazione più anziane e magari non automunite e moltiplica i rischi di errori e di perdita di dati.

Proposte

In collaborazione con la ULSS 16 lavorare per la costituzione di Case della Salute e del Benessere di quartiere, centri servizi integrati per una razionalizzazione della spesa e un più ordinato ed efficace servizio al cittadino/utente. Le Case del Benessere fornendo in maniera integrata servizi sia sociali che sanitari consentono una erogazione complessiva di servizi per il Benessere del cittadino.

Per raggiungere tale obiettivo va ripreso e accelerato il percorso che va in questa direzione di integrazione socio sanitaria già avviato con l'ULSS.

Questo progetto laddove in alcuni quartieri non siano già disponibili strutture idonee può interessare spazi pubblici oggi inutilizzati o altri spazi abbandonati da acquisire (per esempio l’ex Configliachi all’Arcella).

La copertura finanziaria per farlo deriva dal valore immobiliare degli spazi abbandonati che è crollato sul mercato (oggi costano molto meno di una volta e l’opera di riqualificazione può dunque anche rivelarsi un affare economico per il Comune) e dalla cessazione del pagamento del canone di affitto per una serie di centri delocalizzati che verrebbero trasferiti nelle Case della Salute di quartiere.

In tali strutture vanno previsti:

- sportelli territoriali con un'unica segreteria che si occupano dei bisogni di base socio-sanitari (medici, psicologici, servizi sociali, educativi, scolastici e sanitari di base);

- formazione sanitaria di base alle Assistenti Sociali;

- adeguato numero di operatori in percentuale alla popolazione di afferenza al servizio, possibile coi risparmi di spesa dovuti agli accorpamenti che limitano ad esempio sovrapposizioni di progettualità parallele;

- presenza di mediatori per l'afferenza di cittadini non italiani che rendono più efficiente e perciò meno costosa l’erogazione dei servizi;

- gestione informatica di una ‘scheda del benessere’ per ogni cittadino, che comprenda tutta la sua storia sia sanitaria che di utenti di servizi sociali in un’ottica di benessere complessivo dell’utente e di maggior efficienza (e dunque minor costo) nell’erogazione dei servizi;

- la "scheda del benessere" consente di introdurre il servizio della telemedicina preventiva in cui un call center avente a disposizione la scheda del cittadino verifica lo stato di salute quotidiana per certe fasce di popolazione o in certi periodi dell’anno, i farmaci assunti, eventuali problemi di deambulazione, alimentazione, programmazione esami, valutazione degli esami etc. (tutto questo con particolare riferimento agli anziani che vivono da soli);

- le Case della Salute e del Benessere in quanto presidi territoriali sono la struttura su cui basare servizi di medicina di prossimità con particolare riferimenti agli anziani e alle famiglie con disabili;

- inserimento di centri di "pronto soccorso" per tutte le casistiche meno gravi come i codici bianchi, rimandando al pronto soccorso ospedaliero solo per i casi più gravi;

- potenziamento dei consultori, in accordo con la Regione e la ULSS 16;

- contratti con cassintegrati e disoccupati che prestino servizio nel campo dell’assistenza e accompagnamento degli anziani o dei disabili e in altre attività sociosanitarie previste;

- corsi di formazione per i cittadini sugli stili di vita, sia dal punto di vista sanitario che sociale in un’ottica di educazione al benessere e per combattere le dipendenze da droghe e alcool soprattutto sui minori e le nuove dipendenze come quella delle slot machine dei giochi d’azzardo, assieme alla prevenzione di obesità, malattie sessualmente trasmissibili (fenomeno in aumento nei giovani), educazione sessuale e prevenzione delle maternità nelle minorenni;

- sportello di ascolto per la prevenzione della violenza sulle donne e dello stalking.

Benefici

- Razionalizzazione della spesa, taglio agli sprechi e alle duplicazioni.

- Semplificazione, maggior facilità di relazione tra le strutture sociosanitarie e i cittadini/utenti.

- Il cittadino ha sul territorio centri facilmente raggiungibili che si prendono carico del suo benessere complessivo in un approccio integrato e in ottica di prevenzione.

Esempi

- ULSS 4 Alto Vicentino.

- Piani della salute (evoluzione dei piani di zona) della Regione Emilia-Romagna.

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